La poesia non è soltanto quella che si scrive. La puoi trovare nelle pieghe di un lenzuolino da culla, nel cucchiaio caduto per terra sfuggito a una mano non abbastanza ferma, nel rumore delle ruote della bicicletta che passa dall’asfalto liscio a uno sterrato che ti porta verso un boccone di solitudine, nella forcina di tartaruga che non trattiene più lo chignon di tua madre, nell’immobilità di uno sguardo davanti al mare in una notte d’inverno, nelle parole incerte di un vecchio che non ricorda più, nel baule dimenticato in soffitta pieno di indispensabili inutilità, nel frusto peluche di quand’eri piccolo cucito e ricucito, lavato e rilavato, nel gesto di tuo figlio la prima volta che riesce a pettinarsi da solo, nel sorriso stanco di chi ce la fa, ma non ce la fa più, nel rumore dei tuoi passi su un antico acciottolato che non frequentavi da troppo tempo, in una foto che più la guardi e più sbiadisce.
La poesia c’è, se la vuoi vedere. E, parafrasando Don Marquis, riconoscerla è come sentire l’eco di un petalo di rosa buttato nel Grand Canyon. La poesia può essere misteriosa e non è certamente soltanto quella scritta con le parole. Magari la trovi nel bianco della pagina che intervalla i versi perfetti di un poema di Montale o di Bertolucci o di Quasimodo o di Ungaretti o nei sonetti di Shakespeare.
Bisogna avere occhi e anima per riuscire a riconoscerla e amarla. E, se ce la fai, sarai premiato dall’attimo di riflessione che ti assale, dall’umidore che ti appanna la vista, da un piccolo sospiro del quale magari ti vergogni, ma del quale sei geloso.
Ieri, a Salisburgo, si sono concluse le gare per incoronare il miglior lancio, anzi, il miglior lanciatore di aeroplanino di carta. Si tratta del secondo Campionato Mondiale. Alla competizione hanno partecipato 253 «piloti» che hanno superato i 613 tornei nazionali di qualificazione in 85 Paesi, per un totale di oltre 37 mila partecipanti.
Trentasettemila poeti. E tutti universitari in corso d’opera.
Questo mi fa ben sperare. Forse sta crescendo una generazione di uomini nuovi che sanno cosa vuol dire sostenere con il pensiero e l’applicazione, perché no, un sogno che sembra esile soltanto a chi non lo capisce e, magari, ne ride. I nostri finalisti erano soltanto tre: Stefano Sbarra di Bergamo, Marino Brundu di Cagliari e Antonio Terrone di Napoli. Mi fa un grande piacere ricordarne i nomi. Non so se uno di loro ha vinto e non voglio neppure sapere chi si è portato a casa la Coppa. Non ha importanza. Quella era poesia. «E la poesia si ricompensa da sola».
Mina, La Stampa, 3 maggio 2009
domenica 10 maggio 2009
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3 commenti:
Già.
Che bella cosa. Veramente.
Buona giornata Camp
ok son fuori tema, lo dico subito.
però son venuta a lamentarmi (cosa che ho fatto anche nel blog di Lucy) che voi due conoscete e girate così tanto in liguria e a me non dite nulla. ecco. io mi lamento. uffolaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Que texto mais lindo !!!
A poesia é a alma da arte..
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